Una scampagnata in montagna

 

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Una  “scampagnata” in montagna

 

Sono nato 54 anni fa a Roma e ho quasi sempre vissuto nella mia città. Da ragazzo, appena avevo del tempo libero, scappavo al mare e da lì è nato il mio amore per tutto ciò che ha a che fare con l’acqua. Nella mia vita ho fatto immersioni nei laghi, nei fiumi e in quasi tutti i mari del mondo, in qualsiasi stagione e a varie profondità. Per lungo tempo, mi sono guadagnato da vivere vendendo foto subacquee ad agenzie fotografiche e alle maggiori riviste del settore.

La montagna non era mai stata una mia passione anche se d’inverno, nei giorni feriali, mi piaceva andare a sciare con gli amici.

L’anno scorso ricevetti una telefonata da uno studio notarile di Aosta con la quale mi informavano che mia zia Caterina era morta e che ero l’erede unico di tutti i suoi beni, mi pregarono di andare da loro la settimana successiva per sbrigare alcune pratiche burocratiche. Mi informarono sui beni che avrei ereditato: un libretto postale e un casale in alta montagna sopra Champoluc nella Val d’Ayas. Mia zia Caterina l’avrò vista una decina di volte ma la sentivo spesso e non mancavo mai di farle gli auguri a Natale e a Pasqua. Sapevo che stava poco bene ma non immaginavo che mi avrebbe lasciato così presto. Del casale non sapevo neanche l’esistenza, ma poco me ne importava.

L’ultima volta che avevo visto mia zia era stato circa dieci anni prima quando ancora era vivo mio padre e insieme, sotto sua insistenza, eravamo andati a trovarla.

Un mese dopo quella visita, mio padre morì di tumore e allora capii che quel viaggio era un modo per congedarsi da sua sorella.

La telefonata del notaio mi aveva lasciato alquanto contrariato: la settimana successiva sarei dovuto andare sul Mar Rosso per un servizio fotografico sui pesci tropicali.

Chiamai il direttore della rivista, spiegandogli la situazione rimandando il tutto di un mese; poi telefonai all’agenzia di viaggi, disdicendo il Mar Rosso e prenotando un albergo ad Aosta. Dato che odio la burocrazia, le file, le firme, i certificati etc etc, mi preparai psicologicamente per affrontare tutte le pratiche inerenti il lutto.

Il giorno concordato mi recai puntualmente allo studio. Il notaio, alla mia presenza, aprì il testamento e lo lesse. Alla fine mi fece firmare dei fogli e mi consegnò il libretto postale contenete qualche centinaio di euro, la mappa catastale e la chiave del casale.

Uscito dallo studio andai a Champoluc per portare un mazzo di fiori sulla tomba di mia zia.

Lì successe qualcosa che ancora oggi non so spiegare.

Io sono ateo e non credo nell’aldilà. Per me è già troppo duro stare nell’aldiquà che il solo pensiero di “vivere” un’altra “esistenza” già mi fa star male.

Stava piovendo e il cielo era completamente grigio, ma appena superai la porta del cimitero smise di piovere e un raggio di sole colpì una sola tomba facendola risplendere fra mille riflessi argentati. Io non sapevo dove fosse sepolta mia zia, ma il cimitero era talmente piccolo che dopo dieci minuti la trovai.

Era la tomba immersa nella luce!

Tutt’intorno era grigio ma dopo un istante mille farfalle colorate cominciarono a volteggiare e a posarsi sul marmo dove avevo deposto i fiori dando vita e colore a quel posto triste e buio.

Stavo pensando a quella meraviglia quando un soffio di vento portò un foglio con un disegno colorato che sembrava fatto da un bambino dove era stilizzata una casa con degli alberi, degli animali e un piccolo laghetto. Lo raccolsi, lo misi in tasca, mi fermai dieci minuti in raccoglimento ed uscii dal cimitero per tornare a Roma.

Passando nel paese vidi un’agenzia immobiliare e pensai che forse era il caso di darle mandato per vendere il casolare anche se non sapevo come fosse, dove fosse e il valore che potesse avere. L’unica cosa che sapevo era che non me ne importava niente di quella proprietà e che volevo disfarmene.

L’agenzia però era chiusa e un cartello mi avvisava che avrebbe riaperto due giorni dopo. Entrai quindi in un bar vicino dove mi dissero che quella era l’unica agenzia della zona; chiesi anche informazioni sul casale e mi risposero che per raggiungerlo dovevo prendere la funivia e seguire un sentiero percorribile solo a piedi.

Spinto dalla necessità di dare il mandato a vendere, e dalla curiosità di vedere quel casolare decisi di rimane e mi attrezzai per passare due giorni lì a Champoluc.

La mattina alle 9 fui il primo a salire con la funivia e attrezzato di scarpe da trecking, comprate il giorno prima, inizai quella che pensavo fosse una semplice “scampagnata”.

Con me portai anche la mia inseparabile borsa fotografica.

Mentre salivo vedevo sotto di me dei bellissimi cerbiatti che passeggiavano indifferenti ai rumori della funivia. Poco più avanti vidi un falco volteggiare leggero nell’aria tersa e frizzantina. Il panorama era veramente uno spettacolo. Si vedeva la valle da una parte e le catene montuose dall’altra. In quel silenzio assordante, rotto solo dalle carrucole quando passavano sui piloni, lo spettacolo della natura era semplicemente meraviglioso.

Abituato alla bellezza dei fondali marini non mi ero mai accorto che in immersione il mio orizzonte era al massimo di qualche decina di metri; lì invece riuscivo a vedere anche il Monte Rosa a diversi chilometri di distanza. Scattai qualche foto e appena arrivato chiesi al proprietario del rifugio informazioni sul percorso da prendere quindi, zaino in spalla, cominciai la mia “scampagnata”.

A quella quota non c’erano abitazioni e il casolare di mia zia, insieme al rifugio, erano le uniche costruzioni della zona. Il sentiero si snodava fra verdi prati, piccoli boschetti, rigagnoli d’acqua e ripide salite che mettevano a dura prova i miei poveri muscoli.

Man mano che avanzavo le erbacce si facevano sempre più alte e cominciai a pensare a quanti animali striscianti vi si potessero nascondere. Io ho sempre avuto un certo ribrezzo per i rettili e trovarmene uno davanti non mi avrebbe reso felice. Per fortuna più andavo avanti e più l’erba si faceva bassa. Era un’ora che camminavo e mi sentivo tutta la maglietta appiccicata addosso impregnata di sudore. Stavo per imprecare contro me stesso, per la bizzarra idea di andare al casale, quando finalmente intravidi prima il camino, poi il tetto e infine l’intera abitazione immersa in una radura circondata da alberi.

Quando fui nei pressi della casa mi fermai un attimo a godere di quello spettacolo e mi accorsi che c’era anche un piccolo laghetto. Tirai fuori dalla tasca il disegno che avevo raccolto al cimitero e lo confrontai con quello che avevo davanti agli occhi: erano praticamente identici!

Un brivido mi attraversò la schiena e per molto tempo ho cercato di dare una spiegazione razionale a quella coincidenza senza mai trovarla.

Dopo un po’ mi feci forza e raggiunsi il casolare. Presi la chiave dallo zaino e aprii la porta, ma il buio mi avvolse. Lasciai che gli occhi si abituassero all’oscurità, poi intravidi le finestre e le spalancai.

Appena aperte le persiane vidi sotto di me tutta la vallata con paesi, castelli, fiumi, laghi cascine e ben oltre una catena di montagne con le cime più alte imbiancate dalla neve.

All’interno del casale un velo di polvere copriva ogni cosa. L’arredamento era spartano e ridotto all’essenziale. Non c’era corrente elettrica e le candele sul tavolo erano mordicchiate come se qualche animale le avesse scambiate per pannocchie. Doveva essere proprio entrato in casa un animale perché c’era a terra anche il vaso del sale. Avevo sete e aprii il rubinetto dell’acqua ma non uscì niente. In quel momento capii l’utilità di tutte le cose che diamo per scontate senza accorgercene.

Chi ci aveva mai pensato alla delusione di poter ruotare la manopola di un rubinetto senza che succedesse niente?

Il mio senso pratico mi spinse subito a risolvere il “problema”. Feci il percorso inverso del tubo, alla ricerca di un rubinetto d’intercettazione. Ma non c’era nessun rubinetto: il tubo dell’acqua mi portava all’esterno della casa e spariva nei pressi di un invaso pieno di detriti e foglie secche. Smossi un po’ di foglie e cercai di togliere il terriccio che si era depositato all’imboccatura del tubo. Dopo un po’ che stavo facendo pulizie vidi l’acqua entrare nell’imbuto che conduceva al tubo. Rientrai nella casa e dopo aver fatto defluire l’acqua per diversi minuti cominciai a bere.

Subito dopo presi una bacinella abbastanza grande, mi lavai  e rinfrescai la maglietta che stesi sul prato ad asciugare. Infine, stanco morto, diedi una pulita al tavolo e, siccome pensai che per quel giorno non avrei avuto ospiti, spolverai una sola sedia e mi sedetti con i piedi sul tavolo. Mi sarei sdraiato volentieri sul letto ma era tutto impolverato e non avevo nessuna voglia di continuare le pulizie. Tirai fuori dallo zaino i tre panini che mi ero portato e ne mangiai due. Mi riposai una mezz’ora e guardando la casa con più attenzione mi accorsi che non era poi così male. Sarebbe bastato un po’ di detersivo e olio di gomito per tirare a lucido quel posto.

Mi alzai, frugai fra gli scaffali e dopo aver trovato dei detersivi cominciai a spazzare, spolverare, pulire, ordinare, lavare… Mentre stavo rassettando una miriade di farfalle si rincorrevano nel prato antistante il casale. Ogni tanto dei grossi insetti entravano dalle finestre senza chiedere permesso e dopo aver girovagato senza meta uscivano così come erano entrati. Ad un certo punto vidi un cervo brucare davanti la casa, mi fermai e anche il mio cuore smise di battere per non far rumore. Era di una bellezza e maestosità uniche. Ad un certo punto si girò e i nostri sguardi si incrociarono. Entrambi rimanemmo immobili come a studiare le nostre reazioni, poi il cerbiatto alzò il muso, emise un suono simile a un barrito, e pian piano senza correre si allontanò. Giunto vicino al boschetto confinante la radura si voltò, mi diede un’ultima occhiata e sparì definitivamente nel bosco.

Quando guardai l’orologio erano le sette e capii che non ce l’avrei mai fatta a raggiungere la funivia per tornare in paese. Provai a prendere il cellulare per avvisare l’albergo che non sarei tornato a dormire, ma non c’era segnale.

Avevo solo un’ora di luce e l’unica cosa che potevo fare era scendere di quota e sperare che, con la funivia e i turisti, il progresso avesse portato anche un ripetitore di segnale. Dopo una decina di minuti che stavo camminando vidi la tacchetta del segnale andare e venire dal mio Nokia. Provai a chiamare, cadde la comunicazione, mi spostai, riprovai, idem, camminai ancora un po’, riprovai ancora, cadde di nuovo la linea. Finalmente, anche se la comunicazione era molto disturbata, riuscii ad avvisare la proprietaria dell’albergo che non sarei rientrato per la notte e che ci saremmo visti il lunedì mattina per liberare la camera e saldare il conto.

Intanto il tramonto era iniziato e tutto si stava colorando di arancione. Giunto al casale presi la macchina fotografica, montai un grandangolo e cercai di imprimere sulla pellicola le sensazioni che emanavano quelle pennellate di colore. Ad ogni minuto che passava  tutto diventava più rosso, intenso e vivo. Poi i colori cominciarono a virare sul blu e quando fu buio pesto smisi di fotografare e mi accorsi che mille lucciole circondavano il casale facendolo apparire un posto fatato. Penso di essere un bravo fotografo ma non avrei mai potuto immortalare su una pellicola quel momento e quelle emozioni. Non ci sono macchine fotografiche e obiettivi che possano cogliere delle sensazioni così indescrivibili. E poi c’era il canto dei grilli, lo stridio degli uccelli, il verso di mille animali a me sconosciuti, il rumore del vento e delle foglie che si muovevano. C’erano poi l’odore dell’erba, dei fiori, dell’aria e infine un miliardo di stelle luminose che brillavano come diamanti.

Quel posto era tutta una sinfonia di colori, rumori e odori

Lì tutto era vivo e in quel paradiso qualcuno stava suonando l’inno alla vita.

Tornai al casale, accesi un paio di candele e siccome cominciava a far freddo, presi un po’ di legna e accesi il fuoco nel camino. Fra le fiamme alte e scoppiettanti ripensai alla giornata appena trascorsa.

Mi vennero in mente i camosci, il falco, le farfalle, l’orso, il laghetto , la radura gli alberi maestosi, il panorama mozzafiato, le montagne imbiancate nonostante fossimo a luglio, il tramonto incantato, quella casa così spoglia ma così calda e accogliente. Nella mia mente cominciai a vedere le cose belle di quel posto e vi assicuro che non erano poche.

Ci sono voluti alcuni mesi e altre “escursioni” al casale prima di prendere la decisione di lasciare Roma e andare a vivere in quel posto magico.

Ormai ho un sacco di amici a Champoluc e spesso prendo la funivia e scendo in paese. Ho anche un rapporto speciale con la signora dell’albergo. Spesso mi viene a trovare e sta nascendo qualcosa di veramente importante fra noi.

Il mio più caro amico è Bubu: un orso di circa duecento chili che ogni tanto viene al casale e fa razzie di avanzi; poi c’è Lilla una lupa dolce come un cucciolo di cane che non scappa e si lascia accarezzare ogni volta che l’avvicino; e Greta: un’aquila reale che si posa sull’albero più alto della radura e che dopo qualche minuto di attenta osservazione vola via con un’eleganza unica.

Ma non è finita qui perché ci sono tanti altri amici: cerbiatti, stambecchi, caprioli, camosci, cervi, gufi, falchi, poiane, donnole, scoiattoli, lepri, marmotte, tassi, porcospini, volpi, ghiri…

A proposito, ho scoperto che l’animale che aveva scambiato le candele per pannocchie era proprio un ghiro che si era nascosto dentro una scatola di cartone.

Adesso non fotografo più pesci, ma i miei obiettivi cercano di cogliere la bellezza di questi luoghi e la maestosità della natura che li circonda. Quando scatto una foto a degli animali cerco di cogliere l’essenza della loro anima attraverso i loro occhi. Ho capito che dallo sguardo di questi animali si può capire tutto di loro: felicità, rabbia, paura, disperazione, amore.

I loro occhi sono come i nostri, la loro anima anche!

Grazie al direttore dell’agenzia fotografica in cui lavoravo ho conosciuto un editore della zona e con lui ho iniziato un rapporto di collaborazione tramite il quale cerco di sensibilizzare le persone al rispetto per la natura. Ogni tanto faccio immersioni nei laghi alpini ma vi assicuro che non mi mancano i pesci colorati del Mar Rosso, così come non mi manca la fretta, la Tv, le riunioni condominiali, il traffico, l’inquinamento, il cellulare, lo stress.

Per la corrente mi sono attrezzato con dei pannelli fotovoltaici poi, nei rari momenti di nostalgia che ho per la città e la confusione, vado ad Aosta o a Torino ma non riesco a resisterci per più di una giornata.

Se adesso sono felice e la mia vita ha raggiunto dimensioni umane devo ringraziare mia zia e quella prima “scampagnata” in montagna che mi ha fatto vedere cose a me sconosciute cambiando totalmente la mia vita.

 

Sergio Cellucci

 

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