La vita vince sempre

 

 

 

 

Questa testimonianza analizza bene le tematiche delle diversità e aiuta a superare la paura di accettare il "diverso", considerando quest'ultimo una ricchezza. Prendendo spunto da una piccola ed emblematica storia, riesce a demolire, in linguaggio scorrevole, sicuro e di grande fermezza morale, i peggiori pregiudizi

 

 

 

 

La solidarietà vista da Sandro

 

 

Sono Sandro il padre di una ragazza disabile.

Siamo fermi a un semaforo e Chiara mi racconta la sua giornata a scuola.

Lei è sempre ipercritica con tutti e questa volta ce l’ha con una sua amichetta che non le ha restituito una matita.

“Magari si è dimenticata di ridartela…”

“Ma che stai a dì papà… me l’ha fregata!”

“Allora impara a farti restituire le tue cose…”

Stava dicendo la sua quando si avvicina un lavavetri con un sorriso largo e smagliante come una farfalla colorata.

Sembra l’uomo più felice della terra e mette allegria solo a vederlo.

Un uomo così non può che ispirare fiducia e gioia di vivere.

Con un gesto ci chiede il permesso di pulire il parabrezza.

Chiara neanche lo fa avvicinare che spara un “NO” come fosse una cannonata.

Questa volta non sono soldati a morire, ma solidarietà, carità e fratellanza

“Perché sei così maleducata Chiara? Quello è il suo lavoro.”

“Ma che lavoro è papà?”

Abbasso il finestrino attiro l’attenzione del lavavetri che nel frattempo si era allontanato, gli infilo nella mano qualche spicciolo e gli faccio cenno di lavare il vetro.

Lui di carnagione olivastra e occhi neri come la pece inizia a lavare il parabrezza sempre con il sorriso sulla bocca.

Credo venisse dall’India, perché dopo aver finito, unisce le mani all’altezza del petto, fa un inchino di ringraziamento e se ne va.

“Chiara, devi essere sempre educata con tutti. Quell’uomo ha avuto la sfortuna di nascere in un paese povero e nonostante tutto aveva un sorriso come poche persone hanno, e poi, anche pulire i vetri è un lavoro. Umile, certo, ma sempre un lavoro. Quell’uomo non va a rubare e non chiede nemmeno l’elemosina…”

“Si, ma tu gli hai fatto l’elemosina”

“No Chiara, io gli ho fatto fare un piccolo lavoro e gli ho dato una piccola ricompensa, e non capisco perché tu ce l’hai con i lavavetri. Guarda che anche se vengono da paesi molto lontani, sono persone come me e te. Non devi aver paura di loro. Capito?”

“Si papà…”

Scatta il verde, ingrano la prima e parto, ma nel frattempo penso….

 

Perchè Chiara ce l’ha con i “diversi”?  Non è forse anche lei una “diversa”? Ma che cos’è la diversità?

Perché abbiamo paura di chi non è uguale a noi?

Perché ci sentiamo a disagio con un disabile, un ROM, un gay o un extracomunitario?

Eppure noi tutti siamo unici e quindi “diversi” gli uni dagli altri.

Diversi fisiologicamente, per origini, gusti, colore della pelle, estrazione sociale, educazione…

Io penso che la “diversità” sia soltanto un’etichetta, un giudizio di valori che noi diamo agli altri per proteggerci dal loro modo di essere, cosi che nessuno possa intaccare i nostri valori di riferimento. E’ per questo che la “diversità” ci pone in uno stato di difesa. Soltanto che facendo così, puniamo il “diverso” con l’emarginazione ghettizzandolo in un isolamento forzato, ma nello stesso tempo ci priviamo delle sue ricchezze.

La società in cui viviamo ci spinge alla negazione della soggettività portandoci verso un appiattimento morale, sociale, etico ma anche estetico e questo è triste perché, così facendo,  perdiamo la nostra unicità.

Poi c’è da dire che la “diversità”, mette in discussione la “normalità”, pone quindi dei dubbi sul nostro essere e, ci costringe a riflettere.

Il diverso, in un certo senso, fa sentire un po’ diversi anche quelli che si credono normali.

In un mondo dove tutto è omologato, dove i modelli ci vengono propinati da mass media sempre più invadenti, dove il libero pensiero è visto come sovversivo, la diversità è un pugno in faccia a tutto quello che diamo per scontato: salute, benessere, successo…

La diversità ci ricorda che non tutto è così scontato.

Un giorno anche noi potremmo scoprire di avere un figlio gay o ritrovarci su una sedia a rotelle o all’angolo di un semaforo a pulire vetri.

La diversità ci terrorizza perché mette dei punti interrogativi alle nostre certezze.

Ci ricorda che esistono realtà scomode a cui noi abbiamo sempre messo barriere e da cui ci siamo sempre mantenuti a distanza. E’ per questo che la ignoriamo, la temiamo e a volte la guardiamo anche con disprezzo.

Il passo dal pregiudizio al vero e proprio razzismo è breve perché basta negare a quelli che consideriamo “diversi” i più elementari diritti, come la loro cultura, il libero pensiero, il lavoro… e il gioco è fatto.

Questa negazione di diritti elementari ha portato milioni di persone a morire nelle camere a gas dei campi di concentramento nazisti. Parlo dei diritti negati ai “diversi” del tempo: oppositori politici, ebrei, zingari, omosessuali e disabili. Tutti immolati per la costruzione di una razza pura dove non dovevano esistere “diversità”. Barbare follie vissute non molti anni fa che fecero dire ad Theodor Adorno: “Dopo Auschwitz non si può fare più poesia”, sebbene dicendo questo Adorno ha fatto lui stesso una poesia.

Ma il mondo è andato avanti e da persone intelligenti, libere da preconcetti e aperte di mente noi dobbiamo avvicinarci a quello che sembra non appartenerci. Dobbiamo scoprire mondi nuovi, dobbiamo capire logiche diverse, dobbiamo tollerare modi di vivere e vedere le cose che non ci appartengono. Se riusciamo a far questo le diversità, poco alla volta, smetteranno di farci paura.

Inoltre la “diversità” dovrebbe far scattare la molla della curiosità. Dovrebbe essere uno stimolo mentale, un mettersi a confronto, un aprirsi al mondo dell’altro.

Per mia esperienza vissuta, per i mille paesi che ho visitato e le tante persone che ho conosciuto, sono convinto che la diversità  smette di far paura quando la si conosce.

 

All’inizio, quindici anni fa, anch’io pensavo che il mondo dell’handicap non mi riguardasse.

Era distante da me anni luce. Vedevo quei ragazzi sulle sedie a rotelle come estranei. Un po’ mi imbarazzavano, un po’ mi facevano paura e un po’ mi davano fastidio.

Scatenavano in me un senso di colpa lacerante e mi vergognavo perfino della mia salute o dei progressi di mia figlia.

Poi, accompagnando Chiara alle terapie ho cominciato ad entrare in quel mondo, a parlare e  scherzare con loro.

Ho cominciato a frequentare e conoscere i loro genitori. Ho scoperto realtà diverse, ma soprattutto ho apprezzato la forza, l’innocenza e la spontaneità dei loro figli che poi era la stessa forza, innocenza e spontaneità di mia figlia.

Quei bambini avevano l’emozionalità, quella più spontanea, quella più pronta, quella più immediata, quella che noi perdiamo con gli anni e questo è un grande insegnamento che loro mi hanno dato. Quei bambini davano e prendevano amore nella maniera più semplice e spontanea e questo mi ha fatto capire che il metodo terapeutico migliore, sia per loro che per noi genitori, era accettarli. Accettare loro, ma accettare anche noi, senza sensi di colpa, disagi, preconcetti, giudizi e pregiudizi che poi sono legati alle sovrastrutture mentali e non hall’handicap in quanto tale.

Da quei bambini ho imparato molte più cose che da anni passati sui banchi di scuola.

La mia palestra di vita è stata prima la strada e poi Chiara, e anche se non mi considero un saggio, molta della mia crescita la devo a lei e a quei bimbi frequentati in tutti questi anni.

Posso tranquillamente dire che il sorriso di uno qualsiasi di quei ragazzi vale molto più dell’amicizia di un re.

Sono convinto che se si conoscessero le diversità e si avesse la voglia di capire tutti i perché del mondo, ci sarebbero meno guerre, e l’amore regnerebbe in ogni arido deserto dell’odio. Non ci sarebbe razzismo e intolleranza se si conoscesse il prossimo.

Tutti vivremmo meglio su questa fragile palla blu se ci fosse solidarietà e comprensione vera.

Noi, in quanto uomini, abbiamo sempre facoltà di scelta e le nostre scelte possono far cambiare il corso della nostra vita e delle persone che ci sono vicino.

Se poi mettiamo le nostre scelte insieme a milioni di altre scelte, possiamo cambiare il mondo.

Sta a noi scegliere fra amore ed egoismo, odio e perdono, tolleranza e intransigenza, coraggio e codardia.

Nella mia vita, specialmente all’inizio, sono stato un po’ rivoluzionario, un po’ filosofo, un po’ poeta, un po’ viaggiatore, un po’ tutto e un po’ niente.

Dal giorno che Chiara è venuta alla luce ho combattuto mille battaglie. Ho subito sconfitte cruciali e vittorie inaspettate, ho lottato per la qualità della vita e l’autonomia di mia figlia.

Il coraggio e la forza sono venuti dall’amore che ho per lei.

Come ogni guerra che si rispetti, anche in questa, ci sono stati morti e feriti.

Alcuni li ho seppelliti nella sala di rianimazione pediatrica, altri sono qui davanti ai miei occhi mutilati nel corpo e nell’anima.

A volte, con rabbia, stringo i pugni per tutte le ingiustizie di un destino crudele condiviso con altri genitori.

Anche se alcuni bimbi non li vedo più, li ricordo uno per uno e li ho tutti nel cuore e nella mente.

Non potrò mai dimenticare nessuno di loro perché le loro storie e le loro vite ormai fanno parte di me e della mia umile esistenza.

Ormai non mi fanno più paura i “diversi”, gli stranieri, i portatori di handicap e gli umili della terra.

Se proprio devo aver paura di qualcosa allora devo stare in guardia dai pregiudizi, dai preconcetti e dai tabù.

Sono loro i veri nemici dell’anima.

 

“Papà, ma il vetro era pulito, non era sporco!”

 

Appunto!

 

 

Giugno 2010

 

 

 

      http://www.gruppoaiutando.net/sandro.html

 

     http://www.gruppoaiutando.net/foto_premiazione.html#4

 

 

 

 

 

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