Gli Imizighen e la terra degli uomini liberi 

 

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Gli Imizighen e la terra degli uomini liberi

 

Ci sono cose che ti cambiano la vita, che ti succedono all’improvviso, di colpo, come un fulmine a ciel sereno. Ci sono cose che invece ti arrivano pian piano, che montano giorno dopo giorno e che poi ti fanno scrivere la parola fine a un modo di esistere, facendoti iniziare una nuova vita. Per me il Sahara è stato così.

Mi chiamo Sergio e voglio subito precisare che sono un viaggiatore e non un turista. Ho sempre viaggiato, fin da quando ero ragazzo. All’università mi sono iscritto a lingue e letterature straniere moderne perché volevo parlare tutte le lingue del mondo per poter conoscere persone e modi nuovi di vedere le cose. Quando viaggio amo vivere i posti dal di dentro, coglierne l’essenza, conoscere gli usi e i costumi di un popolo, mi piace parlare con le persone del luogo, fare quello che fanno loro e se possibile con loro. Prima di ogni viaggio mi documento il più possibile e nel mio zaino non manca mai curiosità, pazienza e voglia di sapere.

Ho sempre domande essenziali senza risposte, ho sempre bisogno di sapere chi sono, cosa voglio, dove sto andando e qual’é la meta finale.

Bene, venite con me. Vi racconterò il mio viaggio.

Sempre alla ricerca di quelle risposte sono stato nei posti più remoti, poi un giorno, tanto tempo fa, ho scoperto il Sahara e ne sono letteralmente rimasto affascinato. Anch’io, come tanti, sono stato contagiato dal mal d’Africa. Non esistono cure o medicine per quella malattia.

Non c’è rimedio.

L’unico sollievo per il mio spirito è tornare in quelle terre, o meglio in quelle sabbie.

Ogni volta che ci vado scopro sempre qualcosa di me, una nuova luce illumina il mio cammino e nuovi capitoli scrivo sul libro della vita.

Parlo e scrivo un poco l’arabo e so qualche parola di tifinagh la lingua dei Berberi. Questo mi permette di comunicare con i Nafusah libici, i Kabili algerini, i Baraber, i Rifani marocchini e i regali Twaregh del Sahara più profondo.

Per chi non lo sapesse la parola twaregh significa senza Dio, ma loro preferiscono farsi chiamare Imizighen cioè uomini liberi e questo la dice lunga su questo popolo.

La loro cultura è quasi tutta orale e viene tramandata di padre in figlio. I loro racconti sono molto semplici ma carichi di filosofia. Starei ore e ore ad ascoltare le loro storie.

Se devo essere sincero, non c’è un viaggio nel deserto che io ricordi più degli altri, sono tutti nel mio cuore. La prima volta che ho messo piede nel Sahara sono rimasto incantato dai colori dell’alba e del tramonto, dagli odori della sabbia, dalla luce delle stelle, dalla generosità della gente, dal rumore del vento, dalle tante forme di vita. Si perché al contrario di quello che si crede, il Sahara è pieno di vita. Pullula di vita, basta saperla vedere. Nel Sahara il tempo ha tutta un’altra dimensione. In quei luoghi tutto è dilatato, tutto più lento, tutto più umano. Fra le dune del deserto il tempo non si misura con l’orologio o il calendario ma con il passo lento dei dromedari e soprattutto con il battito del cuore di chi lo attraversa.

Quando a sera, stanco, ti sdrai a terra, capisci che sei solo un mortale a metà strada fra la sabbia e le stelle e la dolcezza che hai dentro ti viene dalla poesia che c’è in quei luoghi.

Per chi non c’è mai stato è difficile spiegare le stelle del deserto. Sono miliardi, luminose come fari, vicine che si possono toccare. Emanano un senso di tranquillità e ti fanno capire la vera dimensione di noi piccoli e insignificanti uomini al cospetto della natura.

All’inizio il Sahara sembra fatto solo di finissima sabbia. Un niente riempito di silenzio, poi pian piano cominci a entrare in sintonia con l’immensa “distesa bionda” e capisci che quel silenzio potrebbe essere più emozionante di una piazza brulicante di gente che non ha niente da trasmettere. Cominci a lasciare i fuoristrada e ad andare a dorso di un dromedario. Ti aggreghi a una dondolante e lenta carovana dove sai quando parti ma non sai mai quando arriverai. Il tempo è scandito con il pane che spezzi insieme ai tuoi compagni e con il thè che dividi con loro. Le persone a cui ti sei aggregato ti insegnano mille cose che non leggerai mai in nessun libro e quando, dopo innumerevoli miraggi, vedi in lontananza una vera carovana allora intrecci brevi ma intensi rapporti con gli uomini che hanno rotto quel solitario viaggiare.

Nel deserto tutti sono nomadi e l’unico sentimento che regna è la solidarietà. Non esistono razze, lingue e religioni. Non c’è bisogno di combattere per difendere la libertà, quella è scontata per tutti. I tesori di Alì Babà, e tutte le ricchezze del mondo, non hanno alcun valore in mezzo a quelle dune.

Quando si incontra una carovana ci si danno informazioni, indicazioni e soprattutto si offre quello che si ha. Nell’ottica occidentale “quello che si ha” potrebbe essere niente, nella loro ottica è tutto. Un solo bicchiere d’acqua è più prezioso dell’oro se non sai in che condizioni troverai il pozzo successivo e quanto dista la prossima oasi. Ad ogni sosta i conduttori dei dromedari, tutti sudati, ti offrono un thè alla menta su dei bicchieri lavati con la sabbia e asciugati con la djellaba (tunica) non proprio fresca di bucato. Il capo carovana ti passa un narghilè che ha baciato decine di labbra. Dormi su tappeti mai carezzati da aspirapolvere, ma l’igiene è l’ultimo dei tuoi pensieri, perché sai che ti stanno offrendo, su un piatto d’argento, tutta la loro amicizia.

In quei lunghi viaggi fatti sotto un sole cocente dove intere sorgenti di lacrime evaporano in un attimo, il momento tanto atteso di incrociare una carovana è vissuto, da tutti, come una festa.

Dopo vari viaggi in cui “la nave del deserto” che cavalchi ha la stessa dignità del capo carovana capisci che i fucili che portano servono a combattere un solo nemico: il silenzio. Nel deserto non ci sono ricchezze da difendere, recinti da presidiare, confini da tutelare. Nel deserto ogni uomo è libero come il vento.

Il vento che quando si alza ti entra dentro le narici, ti brucia i polmoni, ti lecca le mani e ti secca il viso. Non esiste rifugio quando soffia il ghibli o il simun, il khamsin o l’harmattan.

A volte ci si ripara dietro i dromedari sdraiati a terra, a volte, se si è fortunati, ci si rannicchia dietro una roccia o un arbusto secco. Poi, quando meno te l’aspetti, la tormenta cessa di colpo e il silenzio torna a regnare fra le dune. Un silenzio assordante rotto solo, di tanto in tanto, dalle parole dei tuoi compagni di viaggio, perché anche una sola parola, con l’umidità al 18% è fatica.

A sera poi si montano rudimentali tende e allora ci si abbandona al piacere frivolo delle chiacchiere. E’ in quei momenti che mi chiedono da dove vengo e dov’è il mio paese. Vogliono sapere tutto di me, dei miei luoghi, delle persone care e del mio Dio. Cerco di spiegare che vengo da lontano e che vivo in una tenda fatta di mattoni chiamata casa. Per loro che sono nomadi è difficile capire come si possa vivere in una “casa” impossibile da spostare. Poi spiego che nella mia “casa” ho acqua per bere, per lavarmi e per irrigare il mio giardino. Allora mi chiedono perché sono lì e a quel punto non so più cosa dire. Come faccio a spiegare che sono alla ricerca di me stesso, di un mio equilibrio interiore e di un modo migliore per vivere la vita? L’unica cosa che riesco a dire è che sono lì per conoscere il mondo, e quando mi invitano a raccontare il mio mondo finiscono con l’invidiarmi perché nel mio “villaggio” c’è acqua, sale, farina e legna in quantità.

Una volta un capo carovana twaregh di nome Mohammed mi disse che una sola volta nella vita aveva visto un “sentiero” d’acqua largo come due tende, soltanto che dopo pochi giorni tutta l’acqua che scorreva era sparita.

“E’ questo quello che tu chiami fiume? “

“Si, Mohammed, ma molto, molto più grande.”

“E quando finisce di scorrere l’acqua del fiume nel tuo paese?”

“Da noi i fiumi non smettono mai di scorrere”

“Allora il tuo Dio è migliore del nostro!”

“No Mohammed, è migliore il vostro Dio perché noi abbiamo l’acqua ma voi avete la felicità nel cuore e la libertà nell’anima”

Senza saperlo, il suo Dio lo aveva eletto a re.

Un re per il suo piccolo popolo di viandanti. Un re senza corona. Un re con uno scettro d’arbusto. Un re che governava l’esodo verso terre lontane. Un re che dall’alto della sua saggezza decideva quando avviarsi e quando fermarsi, quando bere e quando dormire. Un re che in quel peregrinare aveva per amici soltanto una manciata di uomini e dromedari. Un re che di notte, nascosto da sguardi indiscreti, in compagnia dei rumori del vento, dei pensieri e dei ricordi pregava per il suo popolo errante, intercedendo per le nostre vite.

In quei viaggi, sul dorso di un dromedario, sperduto nel nulla come una goccia d’acqua nell’oceano, spogliato dei miei averi, del mio sapere e delle mie certezze mi sono nutrito della bellezza e della magia di quei luoghi meravigliosi.

Non so se dopo tutti quei viaggi ho capito il vero senso della vita, ma una cosa è certa: la felicità non è nelle cose materiali ma in noi stessi.

Altri, dopo di me, calpesteranno le orme che io ho calpestato, e se non sapranno vedere tutto ciò che io ho visto cominceranno a scavare pozzi di petrolio e si arricchiranno di denaro ma non avranno mai la ricchezza che io ho colto nella sabbia del deserto, nel soffio del vento, nella dolcezza delle bacche e nella luce delle stelle di quel paradiso chiamato Sahara.

Il mio viaggio finisce qui. Avrei molte altre cose da dire, ma non siamo nel Sahara e il tempo è tiranno.

Ora vorrei prendervi tutti per mano e iniziare insieme un viaggio molto più bello, istruttivo e avventuroso di quello che vi ho narrato. Un viaggio che possa condurci nei meandri dell’anima e del cuore, perché è da lì che nasce il desiderio di conoscenza che spinge ogni viaggiatore a percorrere sempre nuovi territori sconosciuti.

Non importa dove siete diretti, quale strada percorrerete, se viaggerete dentro voi stessi o avete intenzione di raggiungere una meta reale a me non resta che dirvi:

aprite il cuore e fate un…

… Buon viaggio !!!

 

 

 

Sergio Cellucci

 

Mancano i Plug-in per ascoltare la musica

 

 

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